MIRAI STRATEGY – Pensi che digitalizzare la tua azienda non sia un buon investimento? È perché non hai mai letto “Cime tempestose”!

mirai strategy Giorgia Proietti

Durante la quarantena ho deciso di ricavarmi del tempo per leggere i grandi classici. Come staccare da 11 ore di lavoro senza poter uscire di casa.

Dopo un’ora immobile di fronte alla libreria, ho individuato Cime tempestose come illuminato da una sorta di luce divina (o il mio cervello mi implorava di sceglierne UNO) e ho pensato: è lui! 

Il risultato?

Tenere fuori dalla portata di coppie con poca pazienza durante una pandemia mondiale.

Scherzi a parte, mi ha condotto a ragionamenti inaspettati.

I protagonisti non si pentono mai del modo di gestire il loro rapporto, anzi non considerano, nemmeno una sola volta, una strada diversa da quella già intrapresa.

Se non ti è mai capitato di accorgerti di essere nell’occhio di un ciclone di abitudini, convinzioni e metodi, senza considerare miglioramenti o cambiamenti, sei esattamente come Catherine e Heathcliff (i protagonisti del romanzo).

Qui però non si parla di relazioni amorose ma dell’approccio di gestione di un’azienda.

Sono consapevole che non si tengono le redini di una società in preda a emozioni travolgenti ma piuttosto con la somma di giorni/mesi/anni spesi con fatica a cercare la soluzione migliore per guidarla verso la giusta direzione.

Sono anche convinta, però, che spesso si perdano di vista quei piccoli passi verso l’innovazione che potrebbero stravolgere le carte in tavola (o un romanzo del 1846).

Qual è la tua strategia digitale? 

Questa domanda spesso fa impallidire (come Edgar alla vista di Heathcliff, se sei un imprenditore e hai letto il libro capisci la gravità della situazione) le aziende tradizionali, che ripudiano la questione solo al suono della parola “digital”.

E sai perché? Perché hanno ragione!

Quando non si comprende il valore o la disutilità di qualcosa è perché non la si conosce a fondo, per questo motivo molti imprenditori non vedono il pieno potenziale della trasformazione digitale (avevamo già parlato delle pagelle insufficienti dell’Italia).

Perciò facciamo un passo indietro.

C’è la credenza, o meglio la paura, che i processi di digitalizzazione e i nuovi modelli di business rappresentino una minaccia esistenziale, percependoli come una spesa superflua e non come un investimento ad alto rendimento (vorrei precisare che il protagonista ha lasciato la sua zona di comfort, come diremmo noi oggi, per 3 anni per poi ritornare a casa con un’incredibile fortuna).

La digitalizzazione è un percorso impegnativo (vero!) che richiede un cambio di mentalità e di organizzazione aziendale soprattutto per quelle imprese con molti anni di attività alle spalle.

Il quadro generale oggi è molto diverso rispetto al 1845 (per fortuna!): i fattori di successo cambiano rapidamente, diminuiscono drasticamente i tempi e i modi di gestione di qualsiasi tipo di innovazione.

Questa trasformazione richiede, inoltre, un’ottima comunicazione delle attività lavorative interne ed esterne, nuovi metodi di relazione con il cliente e la capacità di gestire i silos (no, non intendo quei grandi contenitori di grano, ma divisioni aziendali per funzionalità e/o aree geografiche, con confini ben delineati e processi di comunicazione quasi impossibili) in futuro.

Tradotto: questa nuova gestione dei processi è difficile da conciliare con il pensiero gerarchico tradizionale. Mi risparmio il paragone, promesso.

Facciamo 2 passi indietro

Un’azienda deve sempre avere una visione chiara di dove vuole arrivare ancor prima di partire. Perciò, inizia con i tuoi obiettivi finali, individuando poi tutti gli scalini per arrivare in cima (che non sia tempestosa però), così come io sono partita dalla vision per ripercorrere con te ogni passaggio.

In questo modo, sei in grado di individuare le operazioni manuali principali che risultano inefficienti, perché la trasformazione digitale inizia focalizzandosi sui problemi di maggiore necessità per l’azienda. 

Questo significa che le società non devono avere un approccio distruttivo e ricominciare da capo. Un piccolo passo per il CEO, un grande passo per la società. 

La domanda giusta da porsi perciò non è: “Quale nuovo modello di business dovrei sostenere?”, ma: “Come posso imparare a orientarmi verso un modello adatto alla mia attività?”. Fanno meno paura adesso i nuovi business model, vero?

Quest’approccio sperimentale inizia con l’investimento in piccoli esperimenti modificabili nel breve termine (dai quali imparare in fretta) sulla base delle risposte dei dipendenti e dei sostenitori del tuo business. 

Con questo processo test&learn a basso costo, testi rapidamente le ipotesi su ciò che funziona, ottieni nuove informazioni e minimizzi i rischi.
Quindi, pensa a come riprogettare le tue operazioni in modo che la tecnologia aggiunga valore, semplificando organizzazione e processi ma aumentando le performance.

Ti chiederai: perché avere un approccio graduale quando posso avere un’idea in anticipo di come andranno le cose?

Una metrica di successo tradizionale per i nuovi progetti è il ritorno sugli investimenti. Ma il ROI non ti aiuta a capire quale valore aggiunge un progetto per te e per i tuoi clienti, almeno non direttamente.

Per calcolarlo, infatti, devi stimare sia gli investimenti che i rendimenti, che sono esattamente ciò che ancora non sai. Quello che devi fare invece è identificare le metriche che sono più strettamente collegate ai miglioramenti specifici della tua azienda.

Identifica un problema, descrivi ciò che una soluzione potrebbe risolvere di esso e proponi un modo (o più modi) per misurare i progressi di quella soluzione.

È giunto il momento di fare un 3° passo indietro

Con questa “trasformazione organizzativa”, man mano che le persone si trovano più a proprio agio con le attività orizzontali aziendali, abbracceranno anche nuovi modi di approccio al lavoro.

Contrariamente a ciò che si pensa, infatti, la trasformazione digitale riguarda prima di tutto le persone. Riqualificare e migliorare il proprio team è fondamentale per avere un bagaglio culturale più ampio e preparato per adattarsi ai cambiamenti.

Tecnologia = Less is more.

L’obiettivo è quello di fare di più con meno, ma solo se abbini la tecnologia alle giuste risorse umane.

Spesso le aziende sono perfettamente consapevoli dei problemi a cui vorrebbero porre rimedio, ma non hanno le competenze necessarie per soddisfare le loro esigenze con nuove soluzioni tecnologiche.

Ma tutto scorre (come direbbe… come si chiama quello? L’ho studiato a filosofia al liceo, mmm). È un’impresa ardua rimanere al passo con tutte le nuove conoscenze e competenze richieste. 

Dal momento che nessuno sa quali saranno le competenze del domani, l’azione migliore è puntare sulle persone che hanno maggiori probabilità di apprenderle e potenziarle. 

Perciò circondati solo di persone che hanno la propensione alla scoperta e alla profondità di argomenti, che hanno la capacità di lavorare a stretto contatto con ogni aspetto dell’azienda e che hanno una mentalità in continuo evolversi. 

Un leader forte può portare al cambiamento solo se affiancato da un team vincente in termini di gioco di squadra, coraggio, ambizione, intelligenza emotiva e altri elementi di questo genere. 

Certo, il miglior “genio” non garantisce il successo ma anche i fallimenti sono lezioni.

E in questo caso, la domanda giusta è: “Valeva quel prezzo per imparare ciò che dovevo imparare?”

Aspetta, e Cime tempestose?

Nel corso della storia 3 diversi personaggi hanno governato “Wuthering Heights”, una delle tre principali ambientazioni del libro.

Nonostante i cambi di proprietari, nessuno ha mai pensato al personale, chi per mancanza di tempo, chi per menefreghismo e chi per volontà. Né insegnamenti, né cambiamenti.

Inutile raccontare della fine del casale della brughiera dello Yorkshire…

Organizzazione data-centric

Alla base della trasformazione ci sono, in primo luogo, i nuovi comportamenti di condivisione delle informazioni, perciò i tradizionali modelli di servizio spesso non appaiono più adeguati.

La sfortunata realtà è che ancora in molte aziende la maggior parte dei dati non è all’altezza degli standard di base e i parametri di una trasformazione richiedono una qualità e un’analisi dei dati decisamente alta.

La grande differenza tra i Big (Google, Amazon, Facebook) e il resto, non è il potere della loro tecnologia per l’analisi dei dati (in realtà sì, anche per questo) ma il loro intero mondo basato su di essi.
Significa che prima di investire in una riga di codice, hanno cercato tra le informazioni raccolte ciò non funzionava nelle loro attività.

A questo punto, immagino, vorresti dati, casi studio ed esempi concreti, giusto?

Bene, ti accontenterò. Ma not today (non so se hai colto la citazione…).

Cime tempestose è un classico intramontabile, ma è anche un po’ lento da digerire.

Procediamo un mattone, ehm, uno step alla volta, ok?

A presto,

Giorgia

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